Ci sono amicizie e amicizie. Qualcuno ha la fortuna nella vita di incontrare l’amicizia vera, quella che non ti fa mai sentire solo, quel sentimento delicato, prezioso, pudico e silenzioso che ti avvolge l’anima e riscalda il cuore.
Io sono una tra quelle persone fortunate, io ho incrociato nel mio cammino l’amicizia e non ne posso più fare a meno.
Io e Fabrizio ci siamo riconosciuti affini per la prima volta sui banchi della Scuola Media, due adolescenti, timidi, piccoletti e magrolini.
Lui già anticonformista e genietto, con la sua cascata di capelli neri scomposti, io tremendamente seria e responsabile con i miei capelli corti.
Lui che faceva schizzi di caricature dei prof e dei compagni sui foglietti stracciati dai quaderni e costruiva le ranocchie di carta che facevamo saltellare sui banchi tra una lezione e l’altra.
Io che passavo i compiti agli amici perché già ero una secchiona.
Siamo cresciuti, ancora insieme al Liceo Scientifico Tassoni a Modena, di nuovo due provincialotti timidi catapultati in città, che si proteggono a vicenda dagli scherzi, anche crudeli, dei compagni più grandi.
Ore di studio e di confronti animati hanno in quei cinque anni formato la nostra mente e plasmato i nostri caratteri.
Nascono “I Moschettieri”, io, Fabrizio e altre due care amiche, un nucleo compatto nel quale ognuno sa di poter contare, sempre e comunque, sull’altro.
L’Università, questa volta separati ma comunque in percorsi simili, Ingegneria lui, Matematica io.
Le vite parallele, le rispettive famiglie, le diverse esperienze professionali. E poi di nuovo ci ritroviamo fianco a fianco nel lavoro e Fabrizio si palesa a tutti, non solo a me, con la sua mente vivace e brillante, con il suo carattere spregiudicato, coraggioso, a tratti spigoloso.
Fabrizio è per formazione e sicuramente per indole l’Innovazione, quella con la I maiuscola.
Nel suo DNA c’è stampigliato a caratteri cubitali la predisposizione al cambiamento.
Con chi dunque, se non con lui, provare a intavolare un ragionamento sulle parole che quasi ci soffocano in questo periodo storico.
Innovazione, cambiamento, nuove frontiere della intelligenza artificiale.
Vocaboli in libertà che con Fabrizio proviamo a mettere in fila e a dare loro un contenuto.
Fabrizio, cominciamo dalla domanda base, cosa significa innovare?
Innovare nel suo significato più semplice indica “introdurre elementi di novità” e questo sembra essere diventato il fondamentale principio attraverso il quale difendere la competitività delle nostre aziende.
Il più delle volte immaginiamo che la parola innovare sia attinente a un prodotto o a una tecnologia, mentre innovazione fa principalmente riferimento al problema che risolverai o al bisogno che soddisferai con quel prodotto o quella tecnologia.
Quando si deve iniziare a innovare?
Si incomincia subito, se non lo si è già fatto prima.
Come innovare? Meglio approcciare un tipo di innovazione incrementale o quella disruptive-rivoluzionaria?
Questo è un dilemma ben sviluppato da Clayton Christensen, il primo a definire la “disruptive innovation”, considerata una delle idee imprenditoriali più influenti del ventunesimo secolo e che maggiormente ha condizionato il business degli ultimi vent’ anni.
Immaginare che tutto si trasformi lentamente non ci aiuterà ad essere più furbi, scaltri o ad anticipare possibili bisogni e quindi innovazioni: come il cane di Bertrand Rusell, oggi come nel 1912, ricevendo cibo tutti i giorni dall’uomo, non può immaginare di venire poi abbandonato dall’uomo stesso.
Personalmente credo che agire subito sia un elemento fondamentale, perché a volte anche facendo tutto il compito secondo lo standard molte aziende non riescono a stare al passo e finiscono con il cadere in difficoltà.
Spiegaci il tuo approccio, quale è il tuo primo passo?
Per prima cosa bisogna prendere consapevolezza di ciò che una azienda è, di cosa fa e del mercato in cui vive: il più delle volte non è scritto chiaramente da nessuna parte, è una analisi da fare, con autocritica.
Dobbiamo avere il coraggio di mettere in discussione il modello di riferimento e le best practice aziendali, è importante poter mettere al centro del dibattito anche concetti sacri come l’attenzione al cliente.
Questo sarà il primo passo per pensieri e soluzioni non convenzionali da applicare al nostro prodotto, alla nostra organizzazione o al nostro modo di fare business.
Prestare attenzione agli scenari sociali interni ed esterni, guardare le cose con un occhio diverso, pensare “al contrario” ci permetterà di creare idee o magari scoprire un nuovo mercato per il nostro prodotto o per il nostro know-how.
E cosa mi dici delle persone? Per chi lavora all’interno di una azienda spesso è difficile uscire dal pensiero “si è sempre fatto così”!
È necessario coinvolgere immediatamente le proprie organizzazioni nel processo di innovazione e di cambiamento, perché storicamente, stabilendo degli standard, le aziende hanno irrigidito le proprie attività e rendono difficile e dispendioso l’intero processo innovativo.
Questo “mettere in discussione” è migliore se vi uniamo un metodo di associazione che inizi a collegare ciò che osserviamo: dopo esserci chiesti il perché delle cose, aver osservato le persone in diverse circostanze sia internamente (dipendenti, manager, processi) che esternamente (clienti, fornitori, concorrenti, mercati) alla propria organizzazione, cerchiamone le associazioni.
Spiegati meglio per favore.
Facendo associazioni, ad esempio con il metodo Scamper di Bob Eberle o con le scatole morfologiche di Zwicky, riveleremo anomalie o combinazioni irregolari rispetto allo standard, che potranno essere potenziali semi di cambiamenti organizzativi o commerciali.
Anche le idee “nuove” che emergeranno a soluzione di queste anomalie necessitano di essere collegate tra loro: l’azione di “unire i puntini” ci permette di trovare una nuova coerenza e ci dà il coraggio di procedere.
Attenzione! Abbiamo spesso il desiderio di fare tutto da soli, innovare e soprattutto innovare in modo “rivoluzionario” comporta un rischio anche alto, quindi sbagliare e riprovare è un processo che si può e si deve condividere, l’isolamento non è di questi tempi.
E poi? Abbiamo osservato, abbiamo generato idee, abbiamo alleati, come procediamo?
Un altro elemento generatore di opportunità, e anche di riduzione del rischio, è non abbandonare mai il mercato tradizionale esclusivamente a favore di innovazioni rivoluzionarie.
L’ideale è agire in parallelo in due rami, o in due mercati, concedersi il campo in cui sperimentare.
Sperimentare, non avere paura di sbagliare, testare prototipi organizzativi, di prodotto o di business, in una instancabile ricerca delle azioni giuste da compiere.
Noti anche tu come non sia trascurabile la necessità di cercare una intersezione di idee, persone, sistemi, culture e concetti: questo è ben descritto in “Effetto Medici”, il libro di Frans Johansson, nel quale l’autore teorizza l’importanza delle intersezioni partendo dalla grande famiglia fiorentina de’ Medici che, circondandosi dei migliori artisti e scienziati, contribuì al fiorire del Rinascimento, una delle intersezioni per eccellenza, epoca di grandi invenzioni e di uno straordinario sviluppo culturale in Europa.
Se l’innovazione e l’intersezione sono così importanti allora perché non tutti innoviamo? O se anche lo facciamo perché non tutti otteniamo ciò per cui ci siamo impegnati?
La differenza può essere anche determinata dal contesto in cui lavoriamo ma la discrepanza è generata principalmente da noi, dalle scelte quotidiane, dal focus e dall’energia che mettiamo nell’unire tutti i puntini possibili dell’innovazione.
Un’ultima domanda. Come influirà sul nostro modo di vivere e di lavorare la cosiddetta intelligenza artificiale?
L’intelligenza artificiale è una disciplina che tende a far sì che hardware e/o software, agiscano e risolvano problemi in modo del tutto indistinguibile dall’essere umano e che quindi siano anche in grado di apprendere da esso.
Questa idealità dell’imitazione del pensare e agire umano spinge scienziati e filosofi contemporanei a confrontarsi sugli aspetti etici dell’argomento, non a caso nel 2017 l’Europa si è dotata di un codice etico per l’intelligenza artificiale.
L’intelligenza artificiale ci semplificherà la vita, si sostituirà all’uomo nel bene e nel male, come è già successo per macchine di calcolo, software e robot.
Ma alla fine, o meglio al principio, è sempre l’uomo che sceglie.
Distilliamo e scriviamo i valori morali e di comportamento delle nostre aziende, ricordiamoli continuamente, così anche l’intelligenza artificiale avrà l’opportunità di essere una importante risorsa piuttosto che rappresentare un potenziale rischio.
Concludendo la mia ricetta per una azienda innovativa è questa: prendere decisioni e fare scelte il prima possibile, crescere persone allenandole alle skills dell’innovazione e circondarsi di individui che abbiano un DNA inventivo.
Dalla molteplicità e dalla diversificazione di idee ed esperienze nascono inediti semi di creatività.
Questo principio è capace di guidare innovatori e imprese al cambiamento.