Una delle funzioni più simpatiche di Facebook è, a mio parere, l’algoritmo che, allo scattare della mezzanotte, propone ai noi utenti social, i post relativi a cosa ci è successo in questo stesso giorno negli anni precedenti, l’anno scorso, due anni fa…dieci anni fa.
A me è apparsa questa foto.

Nella foto: Elena Salda, con la delegazione delle imprese di Sodalitas, a colloquio con il Presidente Napolitano

Esattamente il 15 maggio 2012 mi trovavo nella Sala della Pendola del Quirinale, assieme ad una delegazione composta da 35 imprese appartenenti a Sodalitas, a colloquio con il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.

Lo scopo dell’incontro era di valorizzare il ruolo delle imprese impegnate in iniziative di Responsabilità Sociale. Ricordo che esponemmo al Presidente Napolitano i progetti delle singole aziende, riguardanti in particolare i temi della sicurezza sul lavoro, delle pari opportunità e della lotta alla corruzione e parlammo dei risultati ottenuti grazie agli investimenti sui temi della sostenibilità.

Da oltre dieci anni dunque, la mia azienda, C.M.S spa, crede nell’importanza della responsabilità sociale di impresa, è uno tra i nostri valori e ci impegniamo a renderlo concreto con tanti progetti e iniziative di welfare e ambientali.

In quegli stessi anni ebbi la fortuna di incontrare altri imprenditori modenesi che condividevano le mie idee sulla Responsabilità Sociale di Impresa. Insieme creammo l’Associazione per la RSI, una realtà quasi unica nel panorama italiano che si è data l’obiettivo di diffondere e promuovere la cultura della sostenibilità. Lo facemmo quando ancora pochi conoscevano il termine sostenibilità.


Nella foto ( 2014) Elena Salda con Claudio Testi (a destra) e gli altri rappresentanti delle aziende soci fondatori della Associazione per la Responsabilità Sociale di Impresa

Da allora un indiscutibile impulso verso questi principi è stato dato dalla Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile, sottoscritta da 193 Paesi dell’ONU. Un programma d’azione per le persone e per il nostro pianeta che ingloba 17 Obiettivi su questioni importanti per lo sviluppo: la lotta alla povertà, l’eliminazione della fame e il contrasto al cambiamento climatico, per citarne solo alcuni.

Oggi, con la Presentazione da parte dell’Italia del Piano di Ripresa e Resilienza, le parole sostenibilità, transizione ecologica, inclusione e coesione, sono diventate parte del linguaggio comune.

A che punto siamo?

Ragioniamo con il Dottor Claudio Testi di responsabilità sociale di impresa, di sostenibilità, di felicità. Claudio Testi è una persona dai molti talenti. Innanzitutto è un amico, dotato di una arguta e vivace intelligenza, sempre pronto al confronto e a riflessioni profonde.

Claudio è amministratore unico di Socfeder S.p.A., azienda leader nel commercio di prodotti siderurgici. Claudio ha anche una laurea e un dottorato in Filosofia all’Università di Bologna e coltivando questa passione, negli anni è diventato presidente dell’Istituto Filosofico di Studi Tomistici di Modena e vicepresidente dell’Associazione Italiana di Studi Tolkieniani, con all’attivo diverse pubblicazioni.

Attualmente è Presidente dell’Associazione per la RSI.


Nella foto, Claudio Testi

Sostenibilità

Claudio, partiamo al presente. A tuo parere quale è il livello di comprensione del temine sostenibilità? Quanto siamo pronti come persone, imprese, nazioni a perseguire i goal dell’agenda 2030?

Oggi magicamente è diventato tutto “sostenibile”: lo si legge sui prodotti, nelle pubblicità, nei discorsi economici e non. Siamo di fronte a una moda, una moda però positiva, perché poi questa parola, al di là del suo abuso, si porta realmente dietro valori e scelte positive. “Sostenibilità” grosso modo indica l’attenzione simultanea ai fattori economici-sociali-ambientali: non so quanti ne siano consapevoli. In ogni caso a me la parola non ha mai entusiasmato perché se qualcosa non è sostenibile, allora è destinato necessariamente a finire da sé. “Responsabilità sociale d’impresa” invece indica tutto ciò che si fa, oltre gli obblighi di legge, di positivo per la società: per questo trovo il concetto (per quanto ormai “superato”) molto più efficace. Infatti oggi la sostenibilità è praticamente obbligatoria, mentre la RSI non può mai esserlo e per questo è più “libera”.

Pandemia Covid 19

La pandemia Covid 19 ha dimostrato che non possiamo continuare ad agire senza tener conto del contesto in cui ci troviamo, perché siamo tutti interconnessi. D’altra parte ha anche causato un aumento della forbice tra ricchi e poveri, con un inasprimento delle disparità sociali sia da un punto di vista economico che di diritto alla salute.

Ricordo, come certamente tanti nel mondo, il duro monito pronunciato lo scorso marzo, in piena emergenza Covid, da Papa Francesco. Un uomo solo, sotto la pioggia, sul sagrato della basilica San Pietro, in una piazza deserta:

“In questo nostro mondo siamo andati avanti a tutta velocità, sentendoci forti e capaci in tutto. Avidi di guadagno, ci siamo lasciati assorbire dalle cose e frastornare dalla fretta. Non ci siamo fermati davanti ai tuoi richiami, non ci siamo ridestati di fronte a guerre e ingiustizie planetarie, non abbiamo ascoltato il grido dei poveri, e del nostro pianeta gravemente malato. Abbiamo proseguito imperterriti, pensando di rimanere sempre sani in un mondo malato.”

Pensi che la pandemia ci abbia veramente modificato? È possibile che da essa si riesca a trarre un insegnamento per migliorare il nostro futuro?

La pandemia ci ha modificato e ci sta modificando in maniera importante anche se forse, proprio perché siamo ancora immersi in questo processo, non riusciamo ancora a capirlo fino in fondo. Il Covid ha accelerato dei processi già in atto: un aumento dell’”individualismo” a discapito di una dimensione sociale fisicamente impossibile col lockdown, un aumento della vita nel mondo virtuale del web, un maggior controllo ovunque. C’è chi ha parlato di “Grande reset” nel senso che con il Covid si azzerano tante cose e quindi si può imboccare più facilmente una strada o un’altra. Mi sa che abbiamo imboccato la strada sbagliata, mentre davvero si poteva andare verso una ridefinizione del discorso economico-sociale in funzione ambientale e umana. Col primo lockdown, tutti abbiamo visto che, se ci si ferma un attimo, la natura riprende immediatamente a rifiorire e l’aria magicamente diventa respirabilissima, anche a Modena: come mai nessuno lo ricorda?

Felicità

La nostra Associazione per la RSI ha proposto in questi ultimi mesi alcuni webinar molto interessanti. In particolare mi riferisco a quello di Sabrina Bonomi, Professore associato di Organizzazione aziendale, senior Consultant&trainer, Co-fondatrice della Scuola di Economia Civile, dal titolo “Le Parole della economia civile” e quello di Ulpiana Kocollari, Professore Associato presso il Dipartimento di Economia Marco Biagi di Modena, sul “Calcolo Felice”.

Entrambe sostengono la tesi che le misure economiche da sole non bastano per catturare e gestire il valore prodotto dalle organizzazioni, ma che sia necessario un cambio di paradigma. Lo sviluppo di breve termine senza nessuna attenzione alle conseguenze di lungo termine ha mostrato dei limiti: una crescente diseguaglianza nella distribuzione dei risultati economici, un deterioramento dell’ambiente naturale e le popolazioni che vivono in un Paese, diciamo così, sviluppato, anche se sono più ricche non sono più felici.

Quale dovrebbe essere a tuo parere il nuovo paradigma? La felicità può essere veramente un obiettivo a cui tendere?

Il tema della felicità, che stiamo portando avanti con la Associazione per la RSI, è secondo me decisivo, per quanto pionieristico: penso che siamo tra i primi a tentare di misurare la felicità prodotta per piccole e medie imprese (per gli Stati è già stato fatto). Per cambiare in meglio il nostro mondo occorre anche cambiare il criterio di misura. Quando sentiremo un politico europeo che dirà: “voglio aumentare la felicità della nazione, a prescindere dalla crescita economica”, allora vorrà dire che qualcosa è davvero cambiato, e una goccia nel mare l’abbiamo messa anche noi come Associazione. Per rispondere alla tua domanda: oggi il paradigma economico è ancora quello della “crescita” (che purtroppo è spesso confusa con lo “sviluppo”, cosa ben più ampia): spero che anche grazie all’Agenda ONU 2030 questo riduttivo orizzonte sparisca per essere sostituito da parole più “umanamente complete” e in questo senso “felicità” può essere molto efficace.

Nel 1972, il re del piccolo stato asiatico del Bhutan, creò un nuovo indicatore per misurare il livello di felicità interna lorda dei suoi cittadini. In più di 40 anni il FIL si è trasformato da filosofia di vita a elemento fondamentale per lo sviluppo economico del paese. Come ci ricordava la Dottoressa Ulpiana oggi il FIL, Felicità Interna Lorda o, in inglese, GNH per Gross National Happiness è un indicatore adottato dalle Nazione Unite. In questo ranking l’Italia si trova al ventottesimo posto. Proprio noi che siamo considerati come il Bel Paese, dove si vive e si mangia bene, sembriamo non essere felici.

Cosa pensi del calcolo della felicità? È una utopia applicabile solo in un piccolo Paese come il Bhutan o ci saranno altri governi che avranno il coraggio di seguire questa strada?

Non è assolutamente una utopia: noi come associazione nel nostro piccolo lo stiamo realmente facendo! Che poi divenga un paradigma dominante, è altro discorso: ma se non si inizia di sicuro non si arriva. Sui politici, come dicevo anche sopra, non so fare previsioni. Io personalmente sono convinto che un politico che davvero prendesse la cosa sul serio potrebbe avere anche successo con l’elettorato. Oggi specie i giovani sono molto più sensibili a certe cose (ambiente, sostenibilità, equità) e sono convinto che apprezzerebbero. Diciamo che chi vivrà, vedrà: ma finché viviamo cerchiamo di remare nella direzione più felice.

Imprese

Noi siamo imprenditori. Il nostro quotidiano è contraddistinto da numeri: quanto produciamo, quanto fatturiamo, come chiudiamo il bilancio, quanti soldi possiamo avere in prestito dalle banche, a quanti dipendenti riusciamo a pagare lo stipendio a fine mese. I mercati non ci perdonano distrazioni.

Possiamo veramente permetterci di pensare alla felicità?  E soprattutto, perché dovremmo investire sulla felicità dei nostri collaboratori?

La domanda per me va ribaltata: possiamo permetterci di NON pensare alla felicità? Io trovo folle che sul piano economico-sociale non si pensi “veramente” alla felicità e alla sua misurazione e incremento, ma piuttosto si continui a parlare solo di “crescita” o “reddito”. Ci sono premi Nobel che hanno dimostrato come la crescita del reddito a un certo punto produce infelicità: per questo dobbiamo misurare e incrementare la felicità di tutti quelli che sono coinvolti nell’azienda. Dunque non solo collaboratori, ma anche fornitori, clienti e azionisti. La felicità è vivere una vita completa, piena, serena e soddisfacente: che altro fine possono avere la politica e l’economia?

Concludo la chiacchierata con Claudio raccogliendo la sua sfida alla felicità e lancio un augurio a tutti noi: che ognuno possa trovare la propria strada per essere coraggiosamente felice.